Caro Elrond,
ti scrivo mentre riposi accanto a me. Io sul divano, tu sul freddo pavimento che stempera il calore di questo giorno estivo. Ti guardo e mi accorgo una volta ancora di quanto io sia perdutamente innamorato di te. Però bada bene, il mio è un amore specifico, l’amore che credo si debba riservare ai cani. Non una traduzione sbilenca di quello che dedichiamo ai nostri simili: gli umani.
L’amore per te è un’alchimia di rispetto e di desiderio di protezione. Il rispetto per il tuo essere: così gioioso, così puro, così immediato. Qualcuno pensa che il cane ti viva accanto. È invece io dico che tu, Elrond, vivi con me. Con me e Simona. Sei in ogni nostro istante con la bellezza dei tuoi occhi che scintillano e con la tua coda che spazza l’aria come una vela orgogliosa. Vivi con noi sempre.
Quando esco senza di te e non sento la dolce tensione del guinzaglio è come se al mio corpo mancasse un arto e la mio sguardo parte della sua vista. In un libro di Pennac ho letto: “Uno crede di portare fuori il cane a fare pipì mezzogiorno e sera. Grave errore: sono i cani che ci invitano due volte al giorno alla meditazione”. Che immensa verità Elrond: da quando sei nella mia vita mi hai aiutato a recuperare una parte dell’esistenza che mi stava sfuggendo di mano. Quella parte si chiama: riflessione.
Rifletto al mattino quando usciamo nel paese che dorme ancora, lungo la stradina di campagna che costeggiando dal basso il convento porta allo stadio dove poi corriamo insieme. Rifletto seduto sulla panchina mentre tu riposi dopo aver giocato con la tua corda intrecciata che tiri e strattoni con il sorriso stampato sul muso. Rifletto nelle sere ventose d’autunno, in quelle gelide d’inverno, in quelle morbide di primavere e in quelle calde d’estate mentre insieme percorriamo stradine che non conosciamo. O che ripercorriamo perché ci sono piaciute. Elrond tu mi hai regalato una nuova prospettiva del tempo e anche di questo ti ringrazio.
Ogni cane ha bisogno di un padrone. E ogni uomo ha bisogno di un cane. Anche se non lo sa. Io non lo sapevo. Ora ne ho preso coscienza. Avevo bisogno di te, Elrond. Me ne accorgo quando mi alzo al mattino e tu entri nel giorno con me. Non vieni mai a disturbare il mio sonno, ma ne assecondi i tempi e la durata. Ti limiti solo ad avvicinarti alle mie labbra. Ad annusare il mio respiro e poi torni al tuo posto, in attesa che io mi liberi dei residui della notte trascorsa.
Mi accorgo che ho bisogno di te quando guardo alla natura con un sentimento rinnovato. Questo anche mi hai insegnato: che la bellezza sta dappertutto, anche in quello che il nostro sguardo distratto ha smesso di notare. Non è retorica. Basta vedere come è cambiata la mia vita. Prima di te ho sempre vissuto in città. Innamorato della frenesia e del fragore delle strade trafficate di gente. Ora le folle mi inorridiscono. Il cemento mi dà la nausea. I rumori mi inebetiscono. Ora m’incanto alla vista di un prato e resto rapito davanti a uno scenario di nuvole e pecore.
Non credo di aver perso nulla andando via dalla bella casa dove abitavo, rinunciando alla bella macchina sportiva che avevo, mettendo da parte le belle serate mondane a cui partecipavo. Ho guadagnato il vero senso del bello, che mi hai insegnato mio piccolo amico provvisto di coda!
Potrei scrivere pagine e pagine sul profondo amore che nutro per te, ma mi limito solo a un grazie che tu non capirai mai e non leggerai mai, ma che sono sicuro riuscirai ad intuire nel mio sguardo che ti carezza, ammirato.